2.22.2007

Chicco... uno di noi!


Capita che in una fredda e grigia serata invernale di metà gennaio (si... è già passato un mese... tanto ci ho messo a partorire questo post...) si debba andare a vedere una partita under 18 di cartello... Il "Pianella" è sempre poco affascinante in queste occasioni, freddo (nel vero senso della parola), dispersivo, senza un bar e se poi hai sonnolenza... beh, non è il massimo. Capita però che la partita sia discretamente importante, tanto da far si che anche il GM della prima squadra si fermi a vedere i ragazzini. Solo un quarto, un tempo se proprio va bene... Mentre i ragazzini finisono il riscaldamento, cercando di nascondere uno sbadiglio, alzo l'occhio sul soffitto del Pianella, e riportandolo in campo mi casca proprio su uno di quei ragazzini che difenderanno ora i colori di Cantù. E' anche tra i meno peggio quel ragazzino. "Bruno, non ti ho mai chiesto niente di Chicco. perchè non mi parli un po' di lui?" "...Chicco... ? Ma Chicco, Chicco intendi?" e tutti e due guardiamo nella stessa direzione. Si, Chicco. "Ma perchè questa domanda? Cosa vuoi sapere di Chicco?" In realtà non so neanche io quello che volevo sapere. So che in fondo forse so già tutto, e quello che non so forse non mi serve saperlo. Ma ormai ho chiesto. Così, per curiosità. Per fare due chiacchiare. "Tu ci hai mai parlato con Chicco?" "No, mai. Ho letto e sentito molto su di lui, ma non ci ho mai parlato. Mi ha colpito moltissimo la sua storia però". "Lui è nato a Castel San Pietro, un bolognese puro. Suo padre è stato un grande giocatore di serie B, lo chiamavano Mitraglia. Lo abbiamo preso dalla Virtus ti ricordi, era fermo da due anni per il ginocchio. Qui si è trovato subito bene, ha ripreso alla grande. Grande tiratore, showman, grande voglia di scherzare, carica agonistica infinita. Di Chicco io posso solo parlare bene, mai un problema, educatissimo, mai una parola o un gesto fuori posto." E qui Bruno un pochino si è scurito in volto, un brivido mi ha scosso. Mi sono pentito di questa domanda. "Dopo la partita con Reggio prima di Natale, 23 punti partita splendida. Non è venuto a cena con noi, è ripartito subito per andare a casa dai suoi per le feste. Ha salutato gli ultrà, è venuto a farmi gli auguri e mi ha detto - ci vediamo domenica all'allenamento -, credo di essere stato l'ultimo a vederlo. A casa non è mai arrivato, mi hanno svegliato il mattino della vigilia con questa notizia. Pazzesco." Il destino se l'è portato via definitivamente mentre correva lungo l'autostrada verso casa: prima Bologna, poi Imola. Si era fermato a cenare con i genitori in un fast food, poi li aveva preceduti. I Ravaglia sono passati accanto al luogo dell'incidente senza accorgersene. Qualcuno aveva fatto vaghe segnalazioni ma la polizia non aveva trovato traccia. Fino alla mattina dopo, quando la luce del giorno ha mostrato quella Volvo scura distrutta in un campo e poi il corpo sbalzato fuori di Chicco. Morto a 23 anni, dopo avere fatto 23 punti. Morto dopo aver trascinato la sua squadra alla vittoria e dopo aver gridato rabbia e gioia, a fine gara, verso la panchina reggiana, dove lo avevano provato per poi scartarlo. Come gli disse Lombardi "Sei un giocatore finito Ravaglia, dopo due anni di inattività e con un ginocchio cosi non possiamo rischiare niente su di te". Chicco non ha dimenticato: "Sono un giocatore di serie A" ha gridato alla panchina di reggio dopo il ventitreesimo punto. Si era subito pentito di quello sfogo. Troppo un bravo ragazzo, ma quella partita aveva un significato particolare.

Chicco è sempre stato un talento sfortunato. È cresciuto a pane e canestri, figlio d'arte. Papà Bob è stato eccezionale cecchino: poca fortuna in serie A (un solo anno, all'Eldorado Roma) ma 10 mila punti in B, bandiera dell' Andrea Costa Imola, attuale Lineltex. E Chicco aveva dimostrato di voler seguire le orme paterne, fin da quando sgambettava con il pallone in mano e tirava a canestro nell'intervallo della partite di papà. A 8 anni era entrato nelle giovanili imolesi, a 13 aveva spiccato il balzo verso la grande Virtus Bologna. Lì aveva fatto tutta la trafila nelle minori, poi era andato a Varese, dove aveva trovato spazio in seguito all'infortunio di Pozzecco.«Aveva una sorta di riconoscenza e gratitudine per me, come se si sentisse in debito per il mio infortunio» ricorderà anni dopo il Poz, suo grande amico. Varese era stato il trampolino di lancio, la Virtus lo aveva ripreso, a campionato 1996-97 in corso, in cambio di Morandotti e lui aveva inciso profondamente sulla tormentata stagione bianconera (Bucci esonerato, Brunamonti in panchina) mettendo il sigillo al successo in Coppa Italia. Successo che aveva dedicato proprio a Pozzecco. Pareva il suo grande momento: giovane,talentuoso, estroverso, amato dai tifosi che lo chiamavano "Cinno", sembrava poter avere il giusto spazio nella nuova Virtus di Ettore Messina. Ma il destino era in agguato: ginocchio sfasciato, operazione, lenta rieducazione, qualche polemica, altra operazione. Insomma: un vero calvario e un anno e mezzo perso. A Cantù, Chicco era "tornato alla vita". La sua maglia, una gigantografia della sua maglia, è appesa lassù. In mezzo a bandiere e stendardi di mille e mille trofei. Nessun canturino in serie A ha mai più giocato con la maglia numero 6. Chicco ha infiammato il Pianella fino ai suoi ultimi momenti diventando il beniamino dei canturini. Quella era la sua miglior stagione in Serie A: stava viaggiando ad una media di 8,8 punti per sera giocando costantemente in quintetto base. Fino alla tristissima notte del 23 dicembre 1999. Da allora Chicco è rimasto nel cuore degli amici e dei suoi carissimi tifosi. Sorrideva sempre, era sempre di buon umore. Era una persona super e un grande giocatore. Abbiamo sempre davanti agli occhi il suo grande talento, e al "Pianella" gli Eagles non hanno mai tolto lo striscione "Chicco 6 uno di noi". A Cantù nessuno si dimenticherà di lui.


Come un orrendo Moby Dick che sprofonda nell'oscurità degli abissi dell'oceano, il secolo XX si è portato via un giovane delfino guizzante e splendente come Chicco Ravaglia. Se lo è portato via nella notte della "luna grande", come ha scritto magnificamente Walter Fuochi. Un'altra nefandezza di un secolo bastardo che di nefandezze è stato gran maestro." (Franco Bertini)


Chicco si è tolto la canottiera lasciando d'un colpo speranze e sofferenze tiri sbagliati e tiri della vittoria. Niente caviglie malferme o ginocchia ribalde ora che il parquet è lontano le luci sono spente e fa freddo. Chicco si è tolto la canottiera e forse sorride fra amici che piangono uscendo dalla nebbia e dal ghiaccio di una notte come mille che ha fatto più male di mille notti. Chicco si è tolto la canottiera perché adesso gioca con tutte le squadre del mondo per tutti noi che abbiamo una sola squadra del cuore ed il cuore per quelli come Chicco che se ne vanno prima della sirena ma avrebbero voluto giocare ancora tanto.

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1 Comments:

At 9:26 AM, Blogger Giancarlo Zardi said...

Ieri sera vedendo la partita fra BENNET Cantù e MACCABI Tel Aviv, ho scorto quello striscione: "Chicco 6 uno di noi". Ho pensato subito, anche se ormai sono passati tanti anni da quella tragica notte, che fosse intitolato a Chicco Ravaglia, a quel bambino che vedevo tirare a canestro negli intervalli delle partite che si svolgevano a Imola e dove era "Bob" Roberto Ravaglia ad essere protagonista sul campo, a quel ragazzo che non ha avuto fortuna, a quel giocatore che non abbiamo potuto vedere crescere, a quell'uomo che manca un po' a tutti. Mi fa piacere sapere che il tuo ricordo sia ancora vivo. Ciao Chicco.

 

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